Una preparazione scientifica e competenze sicuramente più articolat.

Almeno 5 settimane, che corrispondono a una fase di allenamento tecnico e fisico. Il nostro cervello ha infatti bisogno come minimo di 28 giorni per prendere confidenza con un nuovo apprendimento e trasformarlo in una normale abitudine.

Sono numerose e di diversa natura le cause di uno scarso impegno: dalla mancanza di obiettivi chiari e di riscontri positivi a una motivazione non troppo forte, fino a una scarsa fiducia nelle proprie capacità. E questi sono solo alcuni degli esempi. La soluzione più indicata è parlare con loro, senza rimproverarli e senza far pesare troppo la tua osservazione. Piuttosto, dimostrati assertivo e aperto all’ascolto e cerca di capire quali sono i loro veri stimoli. Ne trarrai spunti interessanti che ti permetteranno di rimodulare il rapporto con tutta la squadra e avere maggiore collaborazione.

Chiedi di poter avere un colloquio con il genitore, tu e lui da soli. Cerca di contenere ogni critica, spiegando tutto quello che osservi nella figlia, specie se fa progressi. Sottolinea il fatto che il sostegno dei genitori è basilare, ma spetta ai tecnici e al personale sportivo il compito di valutare la prestazione di gara.

Occorre far capire che gli errori sono prima di tutto un’opportunità per migliorarsi. Ma per far propria questa idea bisogna avere l’umiltà di ammettere i propri limiti e riconsiderare quanto si è fatto fino a questo momento. Aiutali perciò ad analizzare e a commentare anche le prestazioni meno buone. Sarà l’occasione per un esame di coscienza, per riappropriarsi di se stessi e accrescere le competenze. Si renderanno conto che sono proprio i risultati negativi a offrire le più inaspettate possibilità di crescita.

In prima battuta proporrei un intervento diretto sui ragazzi (team coaching), fornendo loro gli strumenti adeguati per imparare l’ascolto selettivo e migliorare la concentrazione. In questo caso l’obiettivo è renderli, in ambito sportivo, meno dipendenti dai genitori, meno influenzabili, ma soprattutto meno esposti ai loro messaggi. In secondo luogo cercherei di coinvolgere i genitori stessi per avviare un dialogo, intercettare motivi di disagio e disaccordo, e renderli partecipi il più possibile. Insomma, far leva sull’empatia e considerarli più una risorsa che un ostacolo.

Prosegui con lo stesso impegno che hai dimostrato finora cercando di dare sempre il massimo. Sul comportamento dell’allenatore non dovresti porti troppi problemi: senza dubbio sa quello che sta facendo.

Non sempre si può mantenere la concentrazione ad alti livelli e, soprattutto, per lunghi periodi, quindi è normale che tu non sia concentrato per tutto il tempo della competizione. Potresti però imparare a modulare la concentrazione in base alle esigenze, “attivandola” nei momenti più decisivi e “abbassandola” quando occorre meno.

No, lo psicologo dello sport è una figura professionale con una visione a 360 gradi sul “sistema sport”. Il suo campo d’azione è molto ampio, ma nello specifico le sue attività consistono nel: riorganizzare le società sportive e gli interventi necessari per migliorare la comunicazione interna/esterna di ogni team; formare gli istruttori delle scuole di sport; curare il rapporto con i genitori e i giovani sportivi; praticare il mental training per gli atleti di ogni età; attivarsi per migliorare la coesione e il gioco di squadra (team coaching); infine, last but not least, sostenere i valori etici veicolati dallo sport in una prospettiva di cambiamento e crescita personale continua.

Stiamo parlando di qualcosa di abbastanza comune: è l’ansia pre-gara. “Perdere la testa” è una sensazione molto diffusa tra gli atleti, soprattutto se sono giovani come te e con poche competizioni all’attivo. Sarà perciò decisivo capire come ti senti e cosa ti dici nel momento in cui avverti di perdere la testa. Il tuo self-talk (dialogo interno) forse si presenta come ripetitivo e poco produttivo, così ti porta a disperdere energie preziose e a vanificare la concentrazione. Il percorso di mental training è utile proprio per questo scopo: fa prendere consapevolezza con il tuo self-talk e ti consente di riprogrammarlo. In questo modo ti sarà facile capire qual è il livello di attivazione più adatto per te e dopo che avrai appreso alcune tecniche specifiche saprai come intervenire per calibrarlo in funzione dei momenti e delle prestazioni.

Lo psicologo dello sport agisce anche sulle dinamiche interne di gruppo e ricorre allo sport come strumento di intervento. In questo caso può diventare un effettivo fattore di aggregazione. Dopotutto l’attività sportiva presuppone un mix di valori come: capacità di interazione, passione, curiosità, coraggio, ma anche generosità, flessibilità, umiltà, attenzione per l’altro. Valori e principi etici, questi, da incoraggiare. In base alle peculiarità del caso è possibile progettare e tradurre in pratica un intervento volto a migliorare il livello di integrazione fra i componenti della squadra, con il risultato di aumentare le capacità di cooperazione e inclusione del gruppo. Ricordiamoci che una squadra più coesa e dove i componenti dialogano è una squadra che ha più garanzie di crescita e di successo!

Sì. Lo psicologo dello sport ha una formazione che riguarda tutti i processi psicologici che ruotano intorno al mondo sportivo, compresi anche quelli organizzativi, che sono poi il fulcro di ogni società sportiva. La sua opera costituisce senza dubbio un contributo fondamentale per il benessere degli atleti ma è anche un valido supporto per il marketing, la comunicazione e la selezione delle risorse umane all’interno delle società.

Il lavoro psicologico è indispensabile per il recupero da infortunio: grazie a tecniche specifiche si possono diminuire la tensione e la paura che spesso accompagnano un atleta infortunato al suo rientro in attività. Stiamo parlando sia delle tecniche di visualizzazione (imagery) che fanno leva sugli aspetti mentali, sia delle tecniche di respirazione e rilassamento: queste ultime agendo sul corpo provocano una immediata diminuzione dello stress.

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